mercoledì 18 giugno 2014

Turandot, la principessa dal cuore di ghiaccio


TITOLO: Turandot

DI: Carlo Gozzi

PREZZO: 1 euro

GENERE: Fiaba teatrale

La storia di Turandot (pronunciato proprio così com'è scritto, con la T alla fine... non “Turandò”, quindi, come dicono in tanti, ma proprio, esattamente “Turandot”) la conosciamo, bene o male, tutti. Specialmente perché è una (nonché l'ultima e incompiuta) delle più celebri opere di Giacomo Puccini.
Ma la storia di Turandot conosce anche versioni più antiche, e questa di Carlo Gozzi è una delle più classiche, nonché la prima adattata per il teatro.
Debuttò nel 1762 a Venezia, ed è ispirata a una storia tratta da Le milles et un jours, raccolta di fiabe persiane a cura del francese François Pétis de la Croix, pubblicata tra il 17010 e il 1712 sulla scia del successo delle fiabe esotiche alla maniera delle Mille e una Notte.
Carlo Gozzi puntava alla salvaguardia del teatro dell'arte, con le sue maschere e le sue caratteristiche: esattamente il contrario di quello che faceva Carlo Goldoni, del quale Gozzi era, non a caso, un rivale.
Ecco perché le opere di Gozzi presentano sempre maschere tipiche, come Truffaldino e Brighella, Pantalone e Tartaglia.
Anche in questa fiaba teatrale, in quest'opera tragicomica, ci sono.
Ma indubbiamente il personaggio che ci colpisce di più è proprio quello di Turandot. La storia, dicevo, la conosciamo tutti: c'è la bellissima principessa cinese dal cuore di ghiaccio che detesta gli uomini e non vuole sposarsi. E siccome in quanto principessa e figlia unica deve sposarsi per forza, altrimenti il re suo padre rischia di rimanere senza erede, escogita un trucco subdolo per eliminare i pretendenti: approfittando della propria intelligenza e della propria sapienza, dà ordine che solo quel principe in grado di risolvere i suoi astuti indovinelli potrà sposarla. Chi non ci riesce è inesorabilmente condannato a morte mediante decapitazione. E in questo modo una, giustamente, pensa che nessuno sarà così stupido da “fare domanda”. E invece no, perché Turandot è così bella, o forse l'astuzia degli indovinelli è così presa sottogamba, che sono in tantissimi quelli che decidono di cimentarsi, per poi fallire miseramente e andare a decorare, con le proprie testoline recise, le porte della città.
Questo finché non arriva l'eroico principe Calaf, che un po' col suo fascino, un po' con la sua arguzia, un po' con il patetico resoconto delle sue sventure personali, non vince il cuore della bella altera, oltre a risolvere gli enigmi.
Ma è veramente così spietata e crudele Turandot? Non sarà semplicemente che la fanciulla non vuole sposarsi? O vuole sposarsi con chi dice lei, per amore e non per ragion di stato? Tutti, quando palano di sposarla, non dicono mai “sposarla” ma “possederla”. Non in senso erotico, ma proprio come se fosse un oggetto. Non sarà che Turandot vuole solo essere “amata” e non “posseduta”?

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